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lI gioiello Navaratna

Ildegarda

Ildegarda di Bingen: un distillato di femminilità nella monaca benedettina dell'anno mille che curava con le pietre


1098, estate. Nell’anno che precede la conquista di Gerusalemme da parte dei crociati, nacque, nei pressi di Alzey (nella regione dell’Assia Renana, a poco più di 30 km da Magonza), Ildegarda, decima e ultima figlia del nobile Idelberto di Bermesheim e di sua moglie Matilda (il nome Ildegarda significa protettrice delle battaglie).
Ben presto si manifestò la pronta ed acuta intelligenza della bambina, ma altrettanto instabile era la sua salute. La sua natura di visionaria comparve molto presto, se come lei stessa ci racconta: “Nel mio quinto anno di vita vidi una luce così grande che la mia anima ne fu scossa, però, per la mia tenera età, non potei parlarne…”.
[…] All’età di quarantadue anni, mentre giaceva afflitta da una penosa malattia, una delle tante che l’avevano accompagnata nel corso della vita, la voce di Dio insistentemente le intimò: “Manifesta le meraviglie che apprendi…Oh tu fragile creatura…parla e scrivi ciò che vedi e senti…”
Ildegarda, incerta, resisteva, e ciò aumentava le sue sofferenze fisiche; infine trovò la forza di manifestare quanto le accadeva a Volmar (suo maestro spirituale, ndr), che le consigliò di rendere noto quanto Dio le ispirava. Da quel momento le forze le ritornarono ed Ildegarda iniziò a comunicare le visioni che l’avevano accompagnata fin dalla più tenera età: iniziava così a scrivere il suo primo grande lavoro, Scivias (Conosci le vie).
A Scivias seguirono molti altri scritti, che trattavano di visioni, uso delle erbe e delle pietre curative ed anche di una sua personalissima e molto avanguardista visione dell’uomo e della vita.
L’opera di Ildegarda è permeata da una gentilezza d’animo ed una sensibilità non comuni. Le sue visioni e il suo modo di sentire la vita ed il mondo (il microcosmo “umano” dinamico ed in continua trasformazione, sia a livelli macroscopici che a livelli più sottili, armoniosamente inserito un macrocosmo che tutto comprende: in sostanza una modernissima visione “olistica” della vita) fanno sì che essa ci appaia, oggi, come una donna dotata di un sentire all’avanguardia per i suoi tempi ma anche attuale per i nostri, al quale possiamo attingere a piene mani per apprendere i segreti di una femminilità profondissima e consapevole.
I silenzi, le visioni in solitudine, la delicatezza con la quale Ildegarda affrontò la vita, compresi tutti i problemi del quotidiano – anche – che le si proponevano, appaiono estremamente femminili: un distillato di femminilità che molto può insegnare alle donne di oggi, così attente alla coltivazione di un sé profondo e consapevole.
[…]Gli uomini hanno elaborato vari modelli dell’universo nelle loro diverse stagioni culturali, scenari di sfondo provvisori e insieme essenziali, perché capaci di “salvare”, di preservare le apparenze, nel senso di raccogliere tutti i fenomeni in una unità di senso e realtà. Il modello medioevale, normalmente, non interessava gli uomini spirituali, volti concretamente ai problemi dell’anima, alla sua caduta e alla sua redenzione. Questi anzi nutrivano una certa diffidenza nei suoi confronti anche per il fatto che, allora, cosmologia e religione non erano “semplicisticamente solidali”. Il modello medievale, oggi lo sappiamo, era frutto di fantasia; non possiamo però dire che fosse falso o menzognero. L’immaginazione medievale si esercitò in esso con una straordinaria capacità produttiva, alla quale certamente Ildegarda ha partecipato e attinto allo stesso tempo con grande libertà.
Le sue visioni sono infatti anche originali, straordinarie figurazioni intellettuali ed immaginifiche (poiché Dio le parlava dall’interno della sua cultura), sviluppate sulla base dell’immaginario collettivo medievale, nel quale erano attivi elementi naturalistici e astrologici ereditati dall’antichità precristiana.

L’alto grado di difficoltà del simbolismo dei colori di Ildegarda non va ricercato nella terminologia né nel pensiero astratto ma ha piuttosto il suo fondamento in un pensiero teologico che sta fra la modalità intuitiva e l’astrazione. Avendo sempre negli occhi l’integrità del tutto, essa evita di isolarne un singolo aspetto o, quando lo fa, non accentua questo isolamento, e appena è possibile riporta il singolo elemento all’insieme. Per l’interpretazione di Ildegarda questo vuol dire in concreto che spesso il significato di un particolare, a motivo del suo collegamento ad un pensiero complesso, è esso stesso complesso e interdipendente (cosa che non esclude una sistematicità interna forte e coerente), e che si deve conoscere tutto il pensiero di Ildegarda per poter mettere in ordine correttamente ogni singolo elemento significativo.
Così come per i colori anche per le pietre. I cristalli di cui ci parla Ildegarda, con uno stile poetico inusuale, nel suo lapidario, erano i tramiti tra macrocosmo e microcosmo. Nell’opera intitolata Fisica vengono descritte, dal punto di vista delle proprietà curative e delle possibilità terapeutiche, un certo numero di piante, pietre, animali. Anche quando Ildegarda parla del potere curativo delle pietre, che agiscono a favore delle qualità umane positive, lascia emergere la sua immagine del mondo, di cui la scienza medica rappresenta una parte essenziale.
Per Ildegarda la malattia esprime la rottura del disegno originario della creazione, sulla quale l’uomo aveva voluto innalzarsi, cadendo in basso. La sua visione è però sempre sorretta dalla certezza della possibilità di guarigione. Il libro delle pietre è una delle parti del trattato sopra citato e nella nostra epoca, a prima vista, può far sorridere sia i geologi sia gli studiosi di medicina alternativa, è invece ricco di informazioni utili ancora oggi per i ricercatori che considerano le gemme come creature vive che svolgono la funzione di accumulatori e trasmettitori delle energie sottili emanate dai quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco.
Le affermazioni di Ildegarda circa la formazione e l’utilizzo dei cristalli, delle pietre preziose e dei minerali non pregiati, accomunati tutti sotto il nome di pietre, da un punto di vista strettamente scientifico non si possono certo condividere, ma dal punto di vista dell’accumulo e della trasmissione dell’energia sono a mio parere quanto meno interessanti.
Se si accetta il fatto che l’universo sia formato dall’insieme di energie di vario tipo e che dalla loro combinazione nascano tutte le possibili forme di esistenza, allora non è difficile accettare che i minerali siano forme cristalline di varie combinazioni energetiche.
Santa Ildegarda propone di utilizzare i vari minerali in modi diversi a seconda del tipo di squilibrio che la persona manifesta, ma nel suo metodo vi è una particolare costante: l’energia racchiusa nei minerali può essere impiegata attraverso la mediazione di un liquido che ne assorbe le potenzialità e le trasmette al malato che lo beve o lo utilizza per impacchi oppure per la preparazione di cibi.
I medici medievali gli alchimisti e anche Ildegarda vedevano la malattia come la conseguenza di un errore nel modo di vivere dell’uomo, quindi attribuivano all’uomo stesso la responsabilità delle sue sofferenze e della sua possibilità di guarigione.
Successivamente, con lo sviluppo della scienza e della tecnica, il rapporto tra l’essere umano e la sua salute è stato considerato sempre meno stretto fino al punto in cui la malattia è stata vista come qualcosa di assolutamente indipendente dal tipo di condotta e di personalità dell’individuo.
Con l’avvento della medicina psicosomatica questo errore in parte è stato corretto e, più avanti, la medicina olistica – ancora non sufficientemente sviluppata e diffusa – sostiene che, poiché ciascun individuo può avere, se lo desidera, la consapevolezza di essere responsabile di tutto (o quasi) ciò che gli succede, sarà anche in grado di modificare la propria personalità, il proprio modo di pensare e di agire per vivere in equilibrio armonico con l’universo intero e di utilizzare le energie cosmiche necessarie al mantenimento del proprio benessere fisico, psichico e spirituale.
Tali energie sono le componenti essenziali di ogni forma creata: dei minerali, dei vegetali, degli animali e quindi anche dell’essere umano.

La grande battaglia di Ildegarda è contro l’autonomia umana, contro l’uomo regolato su di sé, contro l’uomo che parla con spirito di empietà […]. Quest’uomo causa il lamento terribile di tutta la creazione: “E udii – scrive la santa – come gli elementi si volsero a quell’Uomo con un urlo selvaggio. E gridavano: “Non riusciamo più a correre e a portare a termine la nostra corsa come disposto dal Maestro. Perché gli uomini con le loro cattive azioni ci rivoltano sottosopra come in una macina. Puzziamo già come peste e ci struggiamo per farne di giustizia.”
Chi conquista la consapevolezza di essere una cellula dell’universo, un microcosmo a immagine e somiglianza del macrocosmo, sviluppa la capacità di autoguarigione attingendo le energie da se stesso e da qualsiasi altra forma di vita. Le pietre, come le chiama Ildegarda, possono essere meravigliosi amici, strumenti di guarigione del corpo e dello spirito, a condizione che chi le utilizza non deleghi loro la responsabilità del proprio benessere.
In questo nostro sforzo, faticosamente umano, di modificare il nostro punto di osservazione del creato, per una nostra personalissima crescita interiore, Ildegarda ci è amica e compagna di viaggio, con il suo mistero femminile pregno di contenuti, pullulante di silenziose, pacate ed intime risposte, insegnandoci “la femminilità estrema” della morbidità al posto dell’irrigidimento “oppositivo”, dell'accettazione al posto del ripiegamento, della tolleranza al posto dell’ottuso rifiuto del nuovo e del diverso, in tutte le sue forme, del possibilismo al posto dell’integralismo, che fa di ciascuno di noi un essere libero e sano.